Tiziano Vecellio e i misteri nei suoi quadri degni di una escape room

Tiziano Vecellio, nasce nel 1488 a Pieve di Cadore in provincia di Belluno ma diviene veneziano per scelta ancor prima di raggiungere i dieci anni. Si fece conoscere fin da adolescente, quando collaborò con Giorgione nella decorazione della facciata del Fondaco dei Tedeschi, non proprio una collaborazione da tutti.

Da qui in poi Tiziano Vecellio diverrà assistente fidato di Giorgione, dal quale ne deriva un’influenza stilistiche.

Tiziano è considerato il principale esponente del Rinascimento veneziano, le sue opere si distinguono per le tinte forti ma al contempo raffinate, specchio della Repubblica di Venezia, così energica quanto elegante.

Il suo avvicinamento come allievo ed anche come amico a Gorgione avviene grazie a Giovanni Bellini. Tiziano entra nella sua bottega giovanissimo, impara a padroneggiare le tinte radiose e luminose della pittura ad olio e proprio qua avviene l’incontro con Giorgione, più grande di undici anni rispetto a Tiziano ed anche lui allievo di Bellini.

Con la morte di Giorgione fu Tiziano Vecellio ad ultimare l’opera “La Venere di Dresda” (o “Venere dormiente”) dell’amico. In seguito Tiziano riprese l’affascinante soggetto per realizzare uno dei suoi dipinti più sensuali: “La Venere di Urbino“. Le somiglianze di stile osservando queste due opere appena citate sono notevoli, sorprende quanto le mani degli artisti si somiglino.

Il suo talento gli permise di farsi conoscere attraverso più rami della pittura:

  • ritrattistica su commissione;
  • opere di arte sacra;
  • soggetti a carattere mitologico;
  • temi allegorici e misteriosi;

Qualunque fosse il contesto della sua opera riusciva a distinguersi per un uso attento e raffinato dei colori, unito ad un’innovativa disposizione delle figure nello spazio. Queste caratteristiche resero i suoi lavori unici e facilmente riconoscibili.

Nel 1516, dopo aver rifiutato l’invito a Roma da parte di papa Leone X, Tiziano divenne Pittore della Serenissima, incarico ricoperto prima dal maestro Bellini. Questa carica gli rese la fama a Venezia ancora più nota.

Le opere attribuite a Tiziano sono più di cinquecento, proseguiremo analizzando le più conosciute e cercando di dare una presentazione più o meno generale.

Si identifica per uno stile sempre carico di novità, in continuo rinnovamento, fattore per il quale diventa molto ricercato da importanti personalità come Francesco I, Carlo V, Filippo II, il Duca di Mantova ed Urbino, il Duca di Ferrara e papa Paolo III.

Lo sviluppo della sua pittura a “tutto campo” conferiva alle sue opere espressioni di vita pungenti, cariche di espressione.

Dal 1520 circa, inizia a lavorare su commissione della Chiesa e di nobili famiglie ducali, rendendo la sua fama notevole in tutto il territorio italiano e non solo. Dipinge per i duchi di Urbino la “Venere di Urbino” (1537-1538). L’opera ricorda molto la Venere di Giorgione per forma e tonalità, laddove la Venere di Giorgione dorme in un paesaggio campestre la donna rappresentata da Tiziano è nella sua stanza da letto. La pittura è in entrambi i casi tonale, ma Tiziano usa colori iù vividi e realistici, che si esaltano reciprocamente. La “Venere di Urbino” diventa ispirazione per Tiziano di innumerevoli lavori, tra cui “Venere, Amore e organista” e “Danae”. Quest’ultima, come definita dall’autore stesso è vera e propria poesia. La figura della donna distesa viene esaltata in tutte le sue forme e la sua bellezza, in tutte e tre le opere la donna è adornata con orecchini e bracciali, gli sfondi cupi esaltano la figura femminile illuminata e chiara.

Così come Raffaello, la capacità di Tiziano di riprodurre sulla tela le caratteristiche psicologiche del soggetto rappresentato è incredibilmente efficace. Capace di accrescere in colui che osserva l’opera il mistero e la curiosità, di conoscere più di quanto si veda riguardo al personaggio rappresentato, le opere di Tiziano sembra quasi parlare. Portiamo l’esempio del ritratto a Pietro Bembo, dove il contraltare è di appena tre colori: rosso, nero, bianco e le sue sfumature rendono ragione della dignità, del portamento e del ruolo sociale del protagonista. Lo stesso simbolismo lo si trova nel ritratto “Allocuzione di Alfonso d’Avalos”, dove il ruolo del governatore di Milano è ben esaltato dal gesto classico del dito proteso, tipico dell’oratoria antica.

Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese

Trattiamo ora di uno dei tanti ritratti alla Chiesa, “Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese”, dove Tiziano si lasciò probabilmente ispirare da “Leone X” di Raffaello. Nell’opera di Tiziano è marcata l’anzianità del papa, curvo per l’età, ma avvezzo alle scorrettezze politiche e ancora avvinto al soglio pontificio e dunque al potere, con il braccio serrato. Il nipote Ottavio in posizione quasi strisciante, sicuramente ambigua e adulante. Questo ritratto è sicuramente espressione di quella spregiudicata politica nepotista messa in atto da Paolo III.

Dietro ogni quadro di Tiziano Vecellio si nascondono espressioni più curiose e caratteristiche di quanto si possa pensare ad un’analisi troppo superficiale delle opere. Ogni singolo carattere, dall’uso di un colore al posto di un altro, dalla cuposità o luminosità dell’opera, dalla posizione delle mani all’inserimento di un oggetto, porta con se un significato preciso, nulla nasce per caso dalla mano di Tiziano Vecellio.

Il ritratto di Carlo V

Nel 1530 Tiziano incontra e ritrae per la prima volta Carlo V, il quale portava un glorioso rispetto nei confronti dell’artista veneto. Per l’imperatore e per la sua famiglia Tiziano realizzò numerose opere, innalzando in ognuna di essere il valore di Carlo V così come della famiglia. In “Carlo V a cavallo” è evidente la tradizione classica del Marco Aurelio a cavallo, l’artista esalta la forza, l’autorità, la compostezza di Carlo V, utilizzando colori caldi e vividi, e posizionandolo sul cavallo (in movimento) lo rende al di sopra di una normale figura umana.

Quadri enigmatici degni di una escape room

Particolarità fondamentale dei quadri di Tiziano riguarda i suoi significati metaforici, fattore inconsueto per le opere del cinquecento. Le sue immagini nascondevano e nascondono significati nascosti, diversi dalle apparenze, ideali e pertinenti in un contesto come le escape room, gioco di logica dove i concorrenti rinchiusi in una stanza allestita a tema devono trovare la via d’uscita risolvendo differenti enigmi.
L’obiettivo dell’escape room è quello di stimolare la mente, l’intuito, la logica e allo stesso modo si presentano molte opere di Tiziano, dove l’osservatore è portato a studiare la rappresentazione senza farsi ingannare dall’apparenza.

Dietro alle rappresentazioni di Tiziano si nascondono messaggi che vanno ben oltre ciò che si vede con gli occhi, ne è esempio “San Marco in trono”, portavoce politico ed ideologico, di virtù civiche veneziane. Il quadro è sicuramente un ex voto dipinto durante la peste che affligge Venezia in quegli anni: ci sono San Rocco e San Sebastiano da una parte, protettori contro il morbo, dall’altra Cosma e Damiano, che furono medici, e così rinforzano la protezione. Poi, più su, al centro, sul piedistallo, dove ci saremmo aspettati una Madonna con bambino, c’è San Marco. Ma San Marco è naturalmente Venezia, indubitabilmente. Dunque il messaggio è piuttosto chiaro: la salvezza, per Venezia, non arriverà dall’alto dei cieli, ma dalle sue insite virtù civili. Salvarsi dalla peste è compito del governo della Repubblica.

“Concerto campestre” è invece una metafora della musica. La presenza delle ninfe, in questa scena dove si vedono due uomini che stanno cercando di suonare uno strumento musicale, ha il seguente significato metaforico: la musica è un dono che ci fa la natura, a patto di essere puri, cioè di avere un animo sensibile.

Tornando a soffermarci sulla vivacità delle figure rappresentate da Tiziano, esse stesse diventano riferimenti nascosti. Le forme e le pose riescono ad esprimere i movimenti e le intenzioni dei protagonisti, l’osservatore può dunque giungere a conclusioni o a riferimenti postumi per motivare le opere.

Vera e propria escape room è “Tre età dell’uomo”, l’opera allude al carattere effimero dell’amore mondano, ma nasconde in sé il tarlo della natura ciclica dell’esistenza umana: mentre a sinistra i due amanti intessono un duetto amoroso, sullo fondo un vecchio, meditando sull’inevitabile destino di morte, tiene in mano due teschi.

Per quanto innocente, anche sull’infanzia (a destra), incombe il pericolo del peccato: la morte dell’anima.
Un amorino sostiene con entrambe le mani un albero rinsecchito, simbolo della decadenza della natura umana.
Il presente dunque è l’amore, il dolce frutto della gioventù.
E si trova tra i suoi due opposti: la fanciullezza, periodo sognante e la vecchiaia, la solitudine e il ripensamento.
Ancora più in fondo c’è una chiesa che rappresenta la redenzione, quindi una sorta di “quarta età” dopo la morte.
Questi sono solo alcuni esempi di “escape room” ad opera di Tiziano Vecellio, ora sta a voi studiare le opere dell’artista veneto e scovarne i significati nascosti.

Conclusioni

La soggettività artistica di Tiziano si è fatta riconoscere e si è ben consolidata nel tempo, apportando continuamente piccole modifiche e piccoli esperimenti di rinnovamento che lo hanno consacrato tra i migliori pittori veneti della storia. Ancora una volta coloro che rifiutavano il progresso e l’innovazione, solo perché diverso dall’ordinario, sono stati contraddetti.

Anche negli ultimi anni della sua vita, Tiziano Vecellio continuava a modificare il proprio stile, ad innovarsi, si guardava probabilmente intorno cercando di rimanere aggiornato. Nel 1570 i volumi e le forme sembrano sfaldarsi, così come la sua vita che si spegne nel 1576.


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